mercoledì 21 maggio 2008

Lettere dopo il trionfo

Premessa: nel 2002 il libro “Interismi” di Severgnini uscì con una sezione intitolata “Lettere dopo la tempesta” dove la prima missiva era mia: il racconto tragicomico del mio 5 maggio. Oggi, con queste lettere ai campioni, vorrei chiudere definitivamente il cerchio.

Caro Mancio,

Per noi che la Grande Inter di Herrera non l’abbiamo vista, questa è la squadra nerazzurra più forte che abbiamo mai conosciuto. Questa è la nostra favola, il nostro riscatto, la nostra Inter. E Mancini è il nostro mago. E dunque posso solo dire “Grazie”, per la tenacia di questi anni, per la voglia di essere sempre e comunque lo stesso, senza piegarsi all’opportunismo, per l’enorme massa di cattiverie che certa stampa (e ti chiedo pubblicamente scusa a nome della categoria di cui faccio parte, ma non mi occupo di sport solo di libri) ti ha rovesciato addosso. Questa vittoria è tua, con i suoi splendori e anche con i suoi limiti. Ma ho sempre pensato che la capacità di mettere sempre la propria faccia e di mettersi in gioco in prima persona sia tipica dei grandi uomini. Qualunque cosa succederà nei prossimi giorni, perché a essere sincero ti vedo piuttosto stanco, io approverò la tua scelta. E la mia gratitudine per questi anni, e spero anche per i prossimi, resta immutata.

Caro Zanetti,

O capitano mio capitano. Lo so è scontata la citazione, ma quanto è vera! L’ennesima annata straordinaria, l’ennesimo milione di kilometri macinati su tutti i campi, l’ennesima dimostrazione di cosa vuol dire “orgoglio interista”. Saverio come nessun altro. E quest’anno pure il pazzesco gol contro la Roma, e quella corsa folle, da bambino felice, che – lasciatemelo dire – rappresenta un po’ il senso della vita. Entusiamo, spontaneità, passione: in quella corsa c’era tutto. E in più un senso di purezza, di gioia del gioco, di un modo di guardare al mondo con stupore. Grazie capitano, la palla in fondo al sacco ci ha fatto felici, ma forse ancora di più lo ha fatto vederti così.

Caro Vieira,

Patrick gioia e dolori: l’incredibile azione contro la Fiorentina e la prestazione irritante contro il Liverpool; i gol pesantissimi contro il Palermo, l’Atalanta e il Siena e quell’errore da principiante che ha regalato il raddoppio al Milan nel derby di ritorno... Però Patrick io non riesco quasi ad arrabbiarmi con te, perché sento che il tuo carisma va oltre gli episodi, che un fuoriclasse si prende completo, che un personaggio come te non si delimita. Sai, mi fai pensare a mio cugino Andrea: giocavamo insieme in Terza categoria e io, se c’era lui al mio fianco a centrocampo, non avevo paura. Ecco, se mai in un’altra dimensione io fossi stato un giocatore di questa Inter (diciamo un Burdisso) avrei riposto piena fiducia in te e ti avrei seguito ovunque. Perché tu, Patrick, sei un capo e in campo questa cosa la senti anche se nessuno te la spiega.

Caro Ibrahimovic,

che dire. I due gol di Parma da soli valgono una stagione. Sotto quella pioggia che sapeva tanto di epopea, in quella condizione psicologica difficile, con addosso tutte le gufate dell’universo non interista. Eppure tu hai preso la palla di Deki e l’hai messa lì, molto vicino al paradiso. Anche per chi come me masticava un calcio lineare e generoso alla Simeone e non da genio provocatore – quasi da Playstation, che non ho – come te, anche per me questa è poesia pura, sogno, delizia. E poi mi piace quel tuo essere un po’ burbero, quella voce profonda, quel dire “se non vi sto bene sono problemi vostri”. Caro Zlatan, credo che non esistano due persone più diverse da me e te, e forse proprio per questo mi piaci così.

lunedì 19 maggio 2008

Tutto nostro e strameritato

Chiedo scusa ai miei ventiquattro lettori (e anche agli eredi del Manzoni che spero non vogliano farmi causa) per il lungo silenzio di questo diario. Devo però confessarvi che, dopo il rocambolesco pareggio con la Roma a San Siro e le peripezie che ne sono seguite, mi ero ripromesso di tornare a postare solo quando avessimo vinto lo Scudetto. Ammetto che avevo sperato e previsto che ciò sarebbe accaduto prima (ragionevolmente ipotizzavo dopo Inter-Siena), ma l’importante è che ci siamo finalmente arrivati, e le difficoltà – come dice una bella pubblicità – rendono le cose più straordinarie.

E allora eccoci qui a festeggiare il (Benedetto) Sedicesimo scudetto che ci viene consegnato da una partita epica per le condizioni climatiche e psicologiche, una di quelle partite che daresti una mano per aver potuto giocare. Ovviamente quando, come ieri, finiscono come tutti sognavamo. Nel diluvio di Parma il Genio Ibrahimovic torna e incanta, come non faceva da mesi, e piega la resistenza pugnace dei gialloblù in primis con un gol da favola e poi con un tocco impeccabile. Prima dell’apoteosi la squadra aveva lottato con tutte le energie fisiche e morali, sfiorando più volte il punto decisivo ed evitando la trappola dell’isteria. Così vinciamo da campioni maturi, consapevoli della propria forza, capaci di resistere a una pressione fortissima che veniva da una stampa in gran parte già pronta a celebrare la Roma e da un ambiente che, ahinoi memore, cominciava a paventare i fantasmi di un pomeriggio di qualche anno fa che ieri è la pioggia scrosciante e il coraggio dei ragazzi hanno definitivamente lavato via.

Noi tifosi comuni abbiamo sofferto, come sempre, abbiamo sperato, abbiamo avuto paura anche. Ma personalmente vedevo la squadra funzionare bene, sentivo che nell’aria c’erano sensazioni positive e, per quanto pagando un ragguardevole prezzo alle mie ansie, sono rimasto fiducioso anche quando Telelombardia titolava “Scudetto alla Roma”. Mi ricordavo, tanto per dirne una, che sia nel derby sia contro il Siena all’intervallo eravamo teorici campioni d’Italia e poi al 90esimo le cose erano radicalmente cambiate. E così è stato anche ieri, nonostante i giallorossi fossero realmente convinti di avere già vinto, e le facce terree di De Rossi e Spalletti (che mi pare abbia mostrato che forse tutti i sorrisi e la serenità ostentata nelle scorse settimane fossero un tantino fasulle) stanno lì a dimostrarlo.

Questo Scudetto dunque, meraviglioso e difficile come un romanzo di Joyce, sorprendente come un racconto di Borges, limpido come una descrizione di Italo Calvino. Questo Scudetto che chiude la storia di Calciopoli, dimostrando che l’Inter ha vinto quello che doveva vincere a dispetto di tutti i gufi e di un Moggi che – SCANDALOSO – ancora ieri pontificava dalla prima pagina di un quotidiano. Questo Scudetto costato a Mancini più di un paio di nuove rughe e più di un patema per i venditori di magliette che hanno dovuto aspettare l’ultima mezz’ora del campionato per essere sicuri che i loro investimenti sulle casacche con scritto 16 non erano stati soldi buttati. Questo Scudetto che passa attraverso momenti straordinari come il 4-1 all’Olimpico, il doppio 2-0 alla Fiorentina, il derby d’andata e la corsa folle di Saverio Zanetti dopo il pareggio con la Roma a San Siro. Questo Scudetto che l’Inter ha vinto con la forza della solidità, con la coerenza, con l’ardimentoso coraggio del Mancio che ha scaraventato nella mischia SuperMario Balotelli e ha saputo correggere in corsa alcune scelte a volte apparse cervellotiche. Questo Scudetto che vale oro perché conquistato con tutte le rivali e senza l’alibi delle penalizzazioni, che è storico perché mai ne avevamo vinti tre di fila, che è nostro, bellissimo e strameritato. Questo Scudetto che pulsa, come un cuore tricolore, sotto la maglia nerazzurra.