giovedì 28 febbraio 2008

L’urlo di Saverio

Stremante. Anche in tv da casa Inter-Roma è stata una battaglia di nervi e tensione, che però, quando ormai tutto – "fuorché l’onore" – pareva perduto, ci ha regalato il capolavoro di Saverio Zanetti (quello con i colori nerazzurri tatuati sulla pelle) che ha spento la tracontanza dei romanisti e ci ha fatto fare un importante passo sulla strada (ancora lunga) della triconferma. Magnifico, entusiasmante, quasi da leggenda. Alla fine di una partita pazzesca – nella quale Crespo ha colpito due volte con lampi di puro splendore che non sono bastati (complici un palo, la fisica quantistica e i riflessi di Doni) per mandare la palla in fondo al sacco e invece il killer Totti ha piazzato un colpo di rara velocità e dolorosissima bellezza - l’urlo che esce dalla bocca del capitano è quello di tutti noi. Avanti, anche quando sembrava impossibile.

In dieci da mezz’ora per l’infortunio di Maxwell a cambi conclusi, con in campo l’inedito tridente Valdanito-Suazo-Balotelli, senza più i polmoni di Cambiasso (ma con un Vieira di monumentale seppur poco appariscente solidità) e con il cuore di Matrix fermo ai box, i nostri manciniani hanno tenuto botta quando era necessario, grazie anche a una miracolosa parata di piede di Julio Cesar, e poi, spinti da meravigliosi ed eroici furori, hanno lanciato l’assalto finale, che il destro del capitano ha tramutato in oro.

Mio papà ci credeva, io un po’ meno. Al gol di Zanetti ho baciato il televisore, l’ultima volta era successo al gol di Stankovic nel derby vinto poi 4-3 a fine 2006 (e in quell’occasione avevo pure fatto cadere lo sventurato apparecchio). Speriamo porti bene.

martedì 26 febbraio 2008

La nostra Età dell'Oro

Eccoci qui di nuovo. A festeggiare i 45 anni della militanza nerazzurra del nostro Club e un’Inter che, ormai da due anni, sta dominando il campionato e oggi sogna l’impresa in Champions per cancellare l’amarezza della notte di Liverpool. Eccoci qui, e mi rendo conto che questi anni rappresentano per me e per la mia generazione – quella nata più o meno in contemporanea con l’ultima finale giocata (e persa) in Coppa dei Campioni – l’età dell’oro dell’interismo, la nostra Grande Inter. Ma quanta fatica per arrivare fino a qui... per noi cresciuti nel mito di Altobelli e Rummenigge (e qualcuno provava affetto pure per Garlini, il bomber venuto da Cesena con un bagaglio di rovesciate) che abbiamo vissuto la breve stagione di vittorie dei tempi di Trapattoni e di Matthaus, che aveva pure la faccia sbarazzina di Berti e quella monumentale di Beppe Bergomi. Poi gli anni bui del Milan di Sacchi e Capello e le profonde delusioni dei Bergkamp, passato da campione a tacchino, e dei Roberto Carlos, mandato via e poi perennemente rimpianto. Anni difficili, con quelle maglie azzurrine con sponsor Fiorucci e in campo gente simpatica come Fontolino o Centofanti, che però non ha lasciato un gran segno nella storia...

Abbiamo sperato (“Ballammo una sola estate” direbbe qualcuno) quando il pelato Ronaldo ci ha illuso e fatto sognare. Ma la coppia Iuliano&Ceccarini prima e la finale dei Mondiali 1998 poi ci hanno spento i sogni come una sigaretta sul dorso della mano. Ma la finale di Uefa, giusto paio di mesi prima che Ronnie scendesse la scaletta dell’aereo come se avesse 100 anni, resterà una perla indimenticabile, anche perché sigillata da Zamorano e Zanetti, due che la maglia nerazzurra ce l’avevano, e Saverio (ma forse pure Ivàn) ce l’ha ancora, tatuata sulla pelle.

Bobo Vieri è stata la presenza costante degli anni a cavallo del Millennio, e il giorno che mi sono sposato a guidare il nostro attacco ci stava lui, fiero e scostante come al solito. Certo, che cosa ci ricordiamo di quel periodo? L’orrendo 5 maggio, la frustrazione, le feste di una Juve che poi abbiamo scoperto spinta non solo dalle proprie gambe... E’ stato un brutto colpo, seguito poi dalla tremenda semifinale di Champions del 2003, persa solo per il sorteggio che ha stabilito che avremmo giocato il derby d’andata in casa e non in trasferta e quella palla di Kallon che è uscita di un millimetro (almeno così mi è parso dalla tribuna ma qualcosa mi dice che forse non è stato proprio così) me la sogno ancora. Insomma, una vita difficile che ha visto pure le vergogne del motorino sugli spalti, dei seggiolini bruciati con l’Alaves e i petardi a Dida. Basta.

Adesso è il nostro momento. Mancini il nostro Herrera e scegliete voi gli altri accostamenti. Per la leggenda ci manca ancora il tassello europeo, per il quale tutti siamo in trepida attesa. Io sarò là, al mio solito posto al primo anello verde, pronto a dare una mano, almeno in termini di voce ed entusiasmo. Il resto sarà storia, speriamo memorabile.