domenica 23 maggio 2010

E' successo davvero

Ve lo confesso, ancora non ci credo. Quello che è successo a Madrid ieri sera è pura epopea, meravigliosa invenzione di una mente sportiva con il senso del thriller e della commozione vera. Mentre il cronometro del Bernabeu scandiva gli ultimi minuti (quando erano passati 2'30" del recupero ho capito che non potevano più pareggiare e ho detto all'amico Andrea "E' fatta") ho ripensato a Kiev, quando all'86esimo stavamo ancora perdendo 1-0. (Ascoltatevi Repice in radio, è da pelle d'oca http://www.youtube.com/watch?v=0mx88JwbNoE). Poi Milito, e chi sennò, ha pareggiato prima che lui, Muntari e soprattutto Snejider, firmassero una vittoria impossibile. Credo che la finale di Champions abbiamo cominciato a vincerla lì.

Milito dicevamo. Commovente e totalizzante come un vero personaggio da romanzo, nonostante l'uscita non proprio tempestiva sul suo futuro. Un calciatore che ha avuto per noi un impatto superiore a quello del miglior Ronaldo, un campione che ha un unico destino: il Pallone d'oro. Dopo il robot postmoderno Cristiano Ronaldo, il genio maradoniano Messi, è ora che i soloni del pallone europeo riconoscano l'eroismo di Diego, che l'anno scorso giocava nel Genoa... (com'è possibile? Un fuoriclasse di tal fatta, ovviamente senza offesa per i genoani).

Poi le lacrime di Mourinho. A una divinità per scettici come lui che volete che si possa dire? Ha comunque ragione. Vincerà la Champions anche con il Real Madrid, non c'è dubbio. E sarà di certo un altro momento storico per il calcio. Ma vederlo piangere per noi - perché piangeva per noi - resterà tra i momenti più belli della nostra storia di tifosi.

Ancora non ci credo. Però è comunque fantastico.
Amo questa Inter. Vi amo tutti.

mercoledì 19 maggio 2010

Come se fosse la prima volta

Sono nato pochi giorni dopo l'ultima finale di Coppa dei Campioni giocata dall'Inter, quindi questa per me è DAVVERO la prima volta. Madrid, 22 maggio. In ogni caso una data che segna la mia vita di tifoso, comunque andrà a finire. Per chi è cresciuto in un mondo nel quale la parola "finale" e la parola "Champions" erano sempre associate ad ALTRI, e mai a noi; per chi ha convissuto per tutta la preadolescenza con i tifosi di Platini, poi di Maradona e poi di Van Basten; per chi ha sofferto fisicamente gli oltraggi dell'universo Moggi; per chi era a San Siro quando il tiro di Mimmo Kallon al 90esimo della semifinale con il Milan è uscito di un millimetro; per chi ha pianto quando Ibra ha illuminato il diluvio di Parma; per chi guarda la maglia nerazzurra e pensa, SUL SERIO, che sia nettamente più bella di tutte le altre maglie del mondo. Ecco, questa giornata è per noi. Questa FINALE è per noi.

E' quindi la mia prima volta, come per tanti altri tifosi che, insomma, non sono neppure più tanto giovani. Nel 1964, mi raccontano, un nutrito gruppo di nostri nonni e genitori partì per Vienna e restò in viaggio per una settimana, o giù di lì. Nessuno sapeva più dove fossero finiti. STRAORDINARIO. Non riesco a immaginare miglior auspicio di rivivere la stessa avventura, sia per chi sarà fisicamente a Madrid quella sera, sia per chi la vivrà con gli occhi e il cuore in Spagna, seppur disperso in qualche angolo della pianura Padana o del Tavoliere delle Puglie.

Forza Inter. E' fantastico

mercoledì 21 maggio 2008

Lettere dopo il trionfo

Premessa: nel 2002 il libro “Interismi” di Severgnini uscì con una sezione intitolata “Lettere dopo la tempesta” dove la prima missiva era mia: il racconto tragicomico del mio 5 maggio. Oggi, con queste lettere ai campioni, vorrei chiudere definitivamente il cerchio.

Caro Mancio,

Per noi che la Grande Inter di Herrera non l’abbiamo vista, questa è la squadra nerazzurra più forte che abbiamo mai conosciuto. Questa è la nostra favola, il nostro riscatto, la nostra Inter. E Mancini è il nostro mago. E dunque posso solo dire “Grazie”, per la tenacia di questi anni, per la voglia di essere sempre e comunque lo stesso, senza piegarsi all’opportunismo, per l’enorme massa di cattiverie che certa stampa (e ti chiedo pubblicamente scusa a nome della categoria di cui faccio parte, ma non mi occupo di sport solo di libri) ti ha rovesciato addosso. Questa vittoria è tua, con i suoi splendori e anche con i suoi limiti. Ma ho sempre pensato che la capacità di mettere sempre la propria faccia e di mettersi in gioco in prima persona sia tipica dei grandi uomini. Qualunque cosa succederà nei prossimi giorni, perché a essere sincero ti vedo piuttosto stanco, io approverò la tua scelta. E la mia gratitudine per questi anni, e spero anche per i prossimi, resta immutata.

Caro Zanetti,

O capitano mio capitano. Lo so è scontata la citazione, ma quanto è vera! L’ennesima annata straordinaria, l’ennesimo milione di kilometri macinati su tutti i campi, l’ennesima dimostrazione di cosa vuol dire “orgoglio interista”. Saverio come nessun altro. E quest’anno pure il pazzesco gol contro la Roma, e quella corsa folle, da bambino felice, che – lasciatemelo dire – rappresenta un po’ il senso della vita. Entusiamo, spontaneità, passione: in quella corsa c’era tutto. E in più un senso di purezza, di gioia del gioco, di un modo di guardare al mondo con stupore. Grazie capitano, la palla in fondo al sacco ci ha fatto felici, ma forse ancora di più lo ha fatto vederti così.

Caro Vieira,

Patrick gioia e dolori: l’incredibile azione contro la Fiorentina e la prestazione irritante contro il Liverpool; i gol pesantissimi contro il Palermo, l’Atalanta e il Siena e quell’errore da principiante che ha regalato il raddoppio al Milan nel derby di ritorno... Però Patrick io non riesco quasi ad arrabbiarmi con te, perché sento che il tuo carisma va oltre gli episodi, che un fuoriclasse si prende completo, che un personaggio come te non si delimita. Sai, mi fai pensare a mio cugino Andrea: giocavamo insieme in Terza categoria e io, se c’era lui al mio fianco a centrocampo, non avevo paura. Ecco, se mai in un’altra dimensione io fossi stato un giocatore di questa Inter (diciamo un Burdisso) avrei riposto piena fiducia in te e ti avrei seguito ovunque. Perché tu, Patrick, sei un capo e in campo questa cosa la senti anche se nessuno te la spiega.

Caro Ibrahimovic,

che dire. I due gol di Parma da soli valgono una stagione. Sotto quella pioggia che sapeva tanto di epopea, in quella condizione psicologica difficile, con addosso tutte le gufate dell’universo non interista. Eppure tu hai preso la palla di Deki e l’hai messa lì, molto vicino al paradiso. Anche per chi come me masticava un calcio lineare e generoso alla Simeone e non da genio provocatore – quasi da Playstation, che non ho – come te, anche per me questa è poesia pura, sogno, delizia. E poi mi piace quel tuo essere un po’ burbero, quella voce profonda, quel dire “se non vi sto bene sono problemi vostri”. Caro Zlatan, credo che non esistano due persone più diverse da me e te, e forse proprio per questo mi piaci così.

lunedì 19 maggio 2008

Tutto nostro e strameritato

Chiedo scusa ai miei ventiquattro lettori (e anche agli eredi del Manzoni che spero non vogliano farmi causa) per il lungo silenzio di questo diario. Devo però confessarvi che, dopo il rocambolesco pareggio con la Roma a San Siro e le peripezie che ne sono seguite, mi ero ripromesso di tornare a postare solo quando avessimo vinto lo Scudetto. Ammetto che avevo sperato e previsto che ciò sarebbe accaduto prima (ragionevolmente ipotizzavo dopo Inter-Siena), ma l’importante è che ci siamo finalmente arrivati, e le difficoltà – come dice una bella pubblicità – rendono le cose più straordinarie.

E allora eccoci qui a festeggiare il (Benedetto) Sedicesimo scudetto che ci viene consegnato da una partita epica per le condizioni climatiche e psicologiche, una di quelle partite che daresti una mano per aver potuto giocare. Ovviamente quando, come ieri, finiscono come tutti sognavamo. Nel diluvio di Parma il Genio Ibrahimovic torna e incanta, come non faceva da mesi, e piega la resistenza pugnace dei gialloblù in primis con un gol da favola e poi con un tocco impeccabile. Prima dell’apoteosi la squadra aveva lottato con tutte le energie fisiche e morali, sfiorando più volte il punto decisivo ed evitando la trappola dell’isteria. Così vinciamo da campioni maturi, consapevoli della propria forza, capaci di resistere a una pressione fortissima che veniva da una stampa in gran parte già pronta a celebrare la Roma e da un ambiente che, ahinoi memore, cominciava a paventare i fantasmi di un pomeriggio di qualche anno fa che ieri è la pioggia scrosciante e il coraggio dei ragazzi hanno definitivamente lavato via.

Noi tifosi comuni abbiamo sofferto, come sempre, abbiamo sperato, abbiamo avuto paura anche. Ma personalmente vedevo la squadra funzionare bene, sentivo che nell’aria c’erano sensazioni positive e, per quanto pagando un ragguardevole prezzo alle mie ansie, sono rimasto fiducioso anche quando Telelombardia titolava “Scudetto alla Roma”. Mi ricordavo, tanto per dirne una, che sia nel derby sia contro il Siena all’intervallo eravamo teorici campioni d’Italia e poi al 90esimo le cose erano radicalmente cambiate. E così è stato anche ieri, nonostante i giallorossi fossero realmente convinti di avere già vinto, e le facce terree di De Rossi e Spalletti (che mi pare abbia mostrato che forse tutti i sorrisi e la serenità ostentata nelle scorse settimane fossero un tantino fasulle) stanno lì a dimostrarlo.

Questo Scudetto dunque, meraviglioso e difficile come un romanzo di Joyce, sorprendente come un racconto di Borges, limpido come una descrizione di Italo Calvino. Questo Scudetto che chiude la storia di Calciopoli, dimostrando che l’Inter ha vinto quello che doveva vincere a dispetto di tutti i gufi e di un Moggi che – SCANDALOSO – ancora ieri pontificava dalla prima pagina di un quotidiano. Questo Scudetto costato a Mancini più di un paio di nuove rughe e più di un patema per i venditori di magliette che hanno dovuto aspettare l’ultima mezz’ora del campionato per essere sicuri che i loro investimenti sulle casacche con scritto 16 non erano stati soldi buttati. Questo Scudetto che passa attraverso momenti straordinari come il 4-1 all’Olimpico, il doppio 2-0 alla Fiorentina, il derby d’andata e la corsa folle di Saverio Zanetti dopo il pareggio con la Roma a San Siro. Questo Scudetto che l’Inter ha vinto con la forza della solidità, con la coerenza, con l’ardimentoso coraggio del Mancio che ha scaraventato nella mischia SuperMario Balotelli e ha saputo correggere in corsa alcune scelte a volte apparse cervellotiche. Questo Scudetto che vale oro perché conquistato con tutte le rivali e senza l’alibi delle penalizzazioni, che è storico perché mai ne avevamo vinti tre di fila, che è nostro, bellissimo e strameritato. Questo Scudetto che pulsa, come un cuore tricolore, sotto la maglia nerazzurra.

martedì 25 marzo 2008

Serriamo le fila

Il momento è critico, inutile negarlo. La sconfitta con la Juve è uno schiaffo pesante, reso più amaro dall'evidente fuorigioco di Camoranesi nell'azione del gol che ha cambiato la partita (vi ricordate il clamore per il nostro gol in fuorigioco a Catania? Adesso nessuno dice niente... mi pare veramente sorprendente). Se a questo aggiungiamo la chiara stanchezza della squadra e la difficoltà nel creare azioni offensive, ecco che di motivi per stare allegri, tra noi cuori nerazzurri, sembra che ne siano pochi. Eppure.

Eppure siamo sempre primi, seppur con un vantaggio piccolo (ma non così insignificante) sulla Roma; eppure è ancora tutto nelle nostre mani; eppure la squadra ha fatto blocco con Mancini e vuole fortemente arrivare al titolo. Non so se ce la faremo, ma fino all'ultimo secondo dovremo tutti essere uniti per arrivare a questo obiettivo! E' il momento dell'unità, intorno a questa squadra e a questi uomini - che ci siano cari o meno, compreso il povero Burdisso. Al futuro, quale che sarà ci penseremo da giugno, e lì i nodi verranno al pettine. Ma ora è necessario serrare le fila. La sconfitta con la Juve fa male, ma non ci dobbiamo dimenticare che, pur festeggiando come se avessero vinto i mondiali, i bianconeri quest'anno probabilmente non vinceranno nulla, dovranno sudarsi l'accesso alla Champions nei preliminari e magarai potranno anche non farcela... Insomma, un po' di prospettiva aiuta a ragionare con più serenità sulle situazioni.

E' ovvio che ora siamo sotto pressione e il calendario ogni volta che lo guardo mi inquieta a dismisura. Ma piangere adesso non serve, e chissà che dalle prossime durissime partite non possa venire anche qualche buona notizia. E' dura, ma negli scorsi vent'anni abbiamo affrontato situazioni ben più meschine e anche lì (più o meno) ci siamo battuti contro lo scoraggiamento guardando i magnifici colori della nostra maglia. Provarci ora è il minimo che possiamo fare.

venerdì 14 marzo 2008

A mente fredda

A mente fredda si può provare a ragionare sull’eliminazione dalla Champions di martedì scorso. E’ andata male, e ci può stare vista la gara di andata, certo che un po’ di rammarico c’è, e la buriana scatenata dalle dichiarazioni di Mancini nel dopo-partita non si può dire che sia stata la cosa che ci potevamo augurare di più. Però, è giusto dirlo, ci sono state anche delle cose da salvare nei convulsi eventi della singolar tenzone con i Reds e, da ottimista propositivo quale cerco sempre di essere, mi piace partire da quelli.

L’Inter contro il Liverpool ha giocato una gara onesta, anzi mi azzarderei a dire che fino all’espulsione ha giocato la partita che doveva giocare per tentare di ribaltare la situazione compromessa nei malefici minuti finali di Anfield. Abbiamo mostrato la pazienza necessaria, abbiamo faticato, Julio Cesar ha fatto il suo dovere con la consueta spregiudicatezza (su Babel in uscita) e bravura (sull’incursione in area di Lucas mi pare). E poi sono arrivate le grandi chance sui piedi di Julio Cruz, nel primo e nel terzo caso bravo Almunia; nel secondo, e più clamoroso, impreciso il nostro amato Jardinero. Avrebbe potuto darla a Stankovic mi dite, vero ma quale attaccante da lì non tira? Certo, doveva segnare. Il problema sta tutto lì, ahinoi. E la palla nel sacco doveva pure metterla Ibra nel secondo tempo quando la generosa disattenzione della retroguardia di Benitez ci ha regalato l’occasione più clamorosa. Io sono convinto che se avessimo segnato – in quel momento in cui già eravamo in dieci ma ancora 0-0 – forse il Liverpool si sarebbe spaventato davvero è chissà, sarebbe potuta andare in tutti i modi. Ripeto, fino al rosso per Burdisso eravamo in corsa, e ci era mancato il colpo-killer. Capita, è nell’ordine delle cose e del gioco. Nessun dramma insomma.

E lo stadio, per una volta unito, ha capito che la squadra ci aveva provato e ha applaudito e acclamato i nostri a fine gara. Non l’avevo mai visto succedere (di solito volavano i sediolini o qualcosa di peggio...) e mi è parso il modo migliore per sugellare la partita, ma anche la maturazione di un ambiente per troppo tempo definito (a volte a torto, spesso a ragione) isterico, tanto nei suoi interpreti diretti – i calciatori – quanto in quelli indiretti – il pubblico. Ero triste per come era andata la partita, ma ho pensato che finalmente stessimo cominciando a diventare una grande squadra. Ho applaudito convinto i nostri e ho gridato “Inter, Inter” a squarciagola.

Sul dopo partita sembra difficile trovare delle buone notizie. Per noi tifosi comuni l’annuncio del Mancio è stata una doccia gelida e inattesa. Eppure anche lì, forse, possiamo provare a cavarne qualcosa di utile: se la mossa – decisamente azzardata – del mister servirà a stoppare certi atteggiamenti sgradevoli di alcuni giocatori e a mettere un freno alla tentazione di ambivalenza della società (che talvolta pare giustificare le bizze dei campioni), allora potrà anche essere stata un bene. Perché, proprio per l’ammirazione, la gratitudine, la stima e l’affetto che provo per il presidente Moratti (a lui eterna lode!), mi sembra giusto non tacere sui suoi (pochi) errori, che talvolta comprendono questi perdoni per i giocatori indisciplinati e gli scatti decisionisti che portarono, per esempio, all’inopinata cacciata di Gigi Simoni. Tutto sta andando a meraviglia, Centenario incluso, continuiamo così...

Le note tristi sono, oltre ovviamente alla cacciata dal paradiso della Champions, le brutte prestazioni di alcuni uomini simbolo come Vieira, gli errori – già ben documentati – sotto porta dei nostri bomber, il comportamento di Figo, l’ennesimo cartellino rosso. E anche l’intempestività dell’annuncio di Mancini, che poteva forse ottenere gli stessi effetti in un’altra sede, chissà... Certo che in questo modo la squadra è stata risparmiata dal diluvio di critiche, e tutto il focus della stampa – categoria cui appartengo, ma che è decisamente popolata di loschi personaggi – si è puntato sull’allenatore, che ha fatto da capro espiatorio e forse ha garantito a Zanetti e soci qualche ora in più di tranquillità per dedicarsi al campionato. Un paragrafetto a parte lo dedicherei al povero Burdisso. Sbaglia, e si fa prendere dalla foga in maniera spesso imperdonabile, e la sua espulsione ci è costata le ultime chance di speranza. Però è uno che dà l’anima per la squadra e accetta di fare tutti i ruoli... non è una giustificazione, però un’attenuante generica sì. Vista la flemma con cui giocava Vieria...

Adesso guardiamo avanti, a mente fredda. C’è ancora molto da fare e, come diceva Thomas S. Eliot, c’è lavoro per tutti quanti. Forza Inter.

sabato 8 marzo 2008

Buon Compleanno

Domani saranno cento. Un compleanno pesante quello della nostra Beneamata Inter, che raggiunge il secolo di vita in un momento sportivamente delicato, a cavallo tra la sconfitta con il Napoli e in attesa del redde rationem di martedì con il Liverpool, senza dimenticare la delicatissima partita contro la Reggina di questo pomeriggio. Ma il centenario è sempre il centenario e noi siamo qui di nuovo a dire quanto siamo orgogliosi e innamorati di questi colori, della loro imprevedibilità e della loro magnificenza, dei momenti bui (chi si ricorda del Turun Palloseura? Io, mio malgrado, sì) e di quelli pazzeschi (ne scelgo uno vecchio, il gol di Aldone Serena nel derby d’andata 88/89, solo in tribuna in mezzo ai milanisti zittiti), delle serate che non avremmo mai voluto vivere (ero sotto la curva la notte dei lanci dei razzi contro Dida) e di quelle che formano l’educazione sentimentale del giovane tifoso (la finale di Coppa Uefa 90/91 contro la Roma, gol di Matthaus e Berti).

L’Inter è stata una scuola di carattere, una severa palestra (almeno per la mia generazione) di formazione alle difficoltà della vita e alla persistenza delle delusioni. Che ci hanno fortificato il carattere e la fiducia, certo, ma che fatica. Sono passati 25 anni e ancora non ho superato lo choc della rimonta della Juve da 1-3 a 3-3 in quella sfida del 1983 che poi vincemmo a tavolino per il mattone tirato contro il Pirata Marini, né la spaventosa sensazione di essere stato travolto da un treno dopo che il Bayern – in una nefasta notte di Prima della Scala – ha cancellato l’incredibile vittoria 2-0 all’Olimpiastadion nel 1988.

Ma la passione è più forte, e la memoria è piena di abbracci scambiati con mio papà – da sempre si fa coppia in questa affannosa professione di tifoso nerazzurro – che sono cominciati a fine anni Settanta nei “Distinti” di San Siro e vanno avanti tra Sky e il primo anello verde, che forse adesso si chiama anello Nord, ma è sempre verde.

Buon compleanno Inter, allora, e buon compleanno a tutti noi. La nostra parte, seppur piccola, cerchiamo di continuare a farla.